Arcipelago liceale è un divertissement,
un libro atipico e non di genere, che viene alla luce in occasione
dei trascorsi cinquant’anni, da quel 1o ottobre 1968, in
cui si iniziò come 1a C. Quel primo giorno di scuola, entrammo
e sedemmo in tanti ai banchi di un’aula a gradoni, con pedane
in legno, che rimandava all’immagine di anfiteatri greci
o, piú modestamente, ad alcune aule universitarie; e quel
quinquennio (trascorso nel Liceo Scientifico G. B. Scorza di Cosenza,
dal 1968-69 al 1972-73) ce lo siamo voluto ricordare –
hic et nunc – e reciprocamente regalare.
* * *
Cavallo di ritorno
di Franco Abbati
Non era programmato che, quel pomeriggio, Franco
La Rocca venisse a casa mia, né ricordo cosa dovessimo
fare, probabile che dovessimo studiare.
Ricorderò sempre l’epilogo, però!
Suona il citofono, Franco sale e, dopo un po’, gli domando
come sia venuto fino a Corso Telesio, non era ancora arrivato
il caldo e non pensavo fosse in moto, e da casa sua, via De Rada,
fino a corso Telesio a piedi non si poteva fare.
Invece era proprio con la moto, un Morini Scrambler.
«L’hai entrata nel portone?» chiedo. «Non
preoccuparti, mi sembrava superfluo» (“brutto”,
si diceva) «è proprio sotto il tuo balcone»
risponde.
Ci affacciamo... nulla, forse è troppo poggiata al muro
e non si vede...?
Scendiamo un po’ di corsa, ed ecco la sorpresa: hanno rubato
la moto a La Rocca! e proprio sotto casa mia, mi sento un po’
in colpa senza aver fatto nulla!
Lui, per non chiedere nulla, Franco è molto riservato,
non mi ha fatto aprire il portone per metterla dentro! E ora,
che si fa??
Corso Telesio è Cosenza Vecchia, oggi si dice Centro Storico,
e oggi non è mal frequentata e mal abitata come allora.
Casa mia, o meglio il palazzo dove abitavo e dove la mia famiglia
abita ancora, era proprio a margine dei quartieri malfamati. Non
zingari, emigrati, latitanti neri e cose simili, ma la vera delinquenza
di Cosenza era lí: ladri, assassini, killer e puttane,
passatemi il termine.
Il fulcro era proprio il quartiere a luci rosse di Cosenza, una
vera casba: Santa Lucia, si chiamava cosí un incrociarsi
di vicoli, viuzze e scalinate dove era pericoloso solo entrarci
e dove si svolgeva il mestiere piú antico del mondo, oltre
a essere appunto la residenza di tutti quei galantuomini di cui
sopra.
Dopo mezz’ora a scervellarci e a cercare di capire il da
farsi, tentiamo la carta di coinvolgere un altro compagno di scuola:
Nicola Marra.
Due parole su Nicola: ragazzo splendido, riservato, meno sveglio
apparentemente di tanti altri, ma affettuoso e coinvolto nel nostro
gruppo, anche lui abitante di Cosenza Vecchia, pardon del Centro
Storico, e lui, questo sí, proprio a margine di Santa Lucia,
per cui a contatto quotidiano, volendo o meno, col mondo dei delinquenti,
senza nulla togliere alla sua rispettabilità.
Telefonata e poi appuntamento per raccontargli l’accaduto
e domandare se sapesse a chi chiedere qualcosa.
Fu cosí che venimmo a capire che Nicola sapeva bene a chi
ci si doveva rivolgere per una moto rubata in quella via e a quell’ora.
Se ne sarebbe occupato lui, avrebbe visto il da farsi per come
aiutare a risolvere il guaio vero di Franco La Rocca.
Il giorno seguente, a scuola, chiamiamo in disparte Nicola Marra
e chiediamo notizie, ma con poche speranze conoscendo il ragazzo
allora abbastanza, apparentemente, imbranato.
Invece Nicola aveva fatto tutto!
Aveva raccolto le informazioni giuste, chi era di furto in quella
via a quell’ora per i motorini. Lo aveva individuato e il
pomeriggio lo avrebbe cercato per giungere a una soluzione bonaria.
Alle tre e mezza del pomeriggio, senza nessun preavviso, mi suona
il citofono... a farvela breve Nicola mi aveva mandato il ladro
a casa!
Pur di non aprire, avviso e scendo le scale di corsa, dicendo
a casa... la verità: vado da Franco La Rocca.
Davanti il mio portone c’è un ragazzo, ben piú
grande di noi, non di molto, jeans e giubbotto, capelli lunghi
incolti, fare da bullo, parla cosentino ben piú stretto
del normale, si capisce a stento.
Dico súbito che la moto non era la mia, lui ne cavalca
una apparentemente molto simile, stessa marca e modello, ma a
un mio sguardo o la serie precedente o qualcos’altro di
differente che non seppi mettere a fuoco, ben pulita e senza nessun
adesivo.
Decidiamo di non perdere tempo, e io di non farmi vedere sotto
casa con quel ceffo, e di andare súbito da Franco La Rocca,
anche senza avvisare.
Mi dice di montare sulla moto e di indicare la strada, monto,
non senza timore, e partiamo.
Per strada cominciamo a parlare, io chiedo se sa che fine ha fatto
la moto rubata sotto casa mia il giorno precedente, perché
fu súbito chiaro che voleva dei soldi per restituirla,
ma volevo sapere se fosse veramente la persona giusta e non un
delinquente a caso che voleva approfittare due volte.
Senza tergiversare mi dice che la moto la ha rubata lui, rompendo
il bloccasterzo, facile, e senza mettere in moto la ha avviata
per le scale che circondano la mia casa dopo il portone sulla
destra. Al mio ulteriore chiedere per avere le conferme mi dice,
senza remore, che stavamo in moto, proprio sulla moto in questione.
Provo a smentirlo, dicendo che non cercavamo uno Scrambler Morini
qualunque, ma proprio quello, e quello di La Rocca aveva il serbatoio
ammaccato per una caduta e questo no.
Mi prende la mano e la strofina sul serbatoio facendomi palpare
l’ammaccatura!
Un brivido mi percorre la schiena, sono in seria difficoltà:
sono seduto su una moto rubata a un mio amico, mi tengo stretto
a un ladro che guida come un matto e stiamo andando sotto casa
del derubato! Ce n’è abbastanza.
Citofono.
Franco scende, lui si ferma a una certa distanza, forse calcolata,
dal portone.
Anche Franco non crede ai suoi occhi.
Inizia una vera trattativa, lui ha avuto spese, la moto è
stata lavata, tolti gli adesivi e c’è già
chi la vuole acquistare, ma tramite amici di Nicola è stato
stoppato e lui, per rispetto, rinunzia alla vendita, però
vuole rientrare delle spese.
100milalire.
Franco resta anche lui di sasso.
Prendiamo tempo, di soldi in tasca non ce n’è.
Mi chiede se voglio essere riaccompagnato, con un giro di parole
mi svincolo e mi fermo a via De Rada.
Che si fa?
Franco decide, se pur con sacrificio che, purtroppo, la cosa migliore
da fare sia accettare, oramai il danno era fatto e per uscirne
poteva essere la cosa migliore e piú sbrigativa; avrebbe
cercato, con una scusa, ai fratelli maggiori le 100mila lire.
La mattina dopo non sapevamo se ringraziare o arrabbiarci con
Nicola per l’accaduto e la mancanza di prudenza... pure
il ladro alla porta, ma quello era il modo con quella gente, c’è
poco da tergiversare.
Dopo pochi giorni Franco ebbe la moto restituita, non prima di
aver rimborsato le spese.
Le spese!
Quel tipo mai piú visto e Nicola, Nicola Marra, zitto zitto,
era stato incisivo piú del previsto.
* * *
Dopo l’eclisse...
di Fiorella De Luca
Ritrovarsi suscita un turbine di sensazioni che
ti prendono a pelle, risalendo dal profondo dell’animo di
ognuno. Ritrovarsi e condividere qualcosa è ancor di piú;
è rivivere momenti ai quali abbiamo dato, un tempo, poca
importanza, ma che, profondamente incisi nell’inconscio,
risalgono alla coscienza, desiderosa di farci riappropriare di
una parte di noi: la giovinezza di pensiero.
A distanza di mezzo secolo, molto è cambiato dai nostri
anni ’70: qualcuno si è allontanato dal luogo di
origine, qualcun altro vi è rimasto radicato; ma quasi
tutti, ritengo, hanno vissuto momenti e periodi felici alternati
ad altri da dimenticare.
Le esperienze raccolte alla nostra età potrebbero formare
un mosaico dalle mille forme caleidoscopiche per bellezza e varietà,
ma, non a caso, la proposta di scrivere di noi ha generato entusiasmo.
Certo è che non abbiamo rimpianti se stare insieme anche
solo per una serata in pizzeria, al grido sgangherato di Jesahel
ta-tara-tatara, ci rende vibranti di energia positiva, favoriti
dalla rara congiunzione astrale, nell’ammirazione della
sanguigna Luna del 27 luglio 2018 in eclisse. Abbandonate cosí
le nostre variegate realtà quotidiane, possiamo meglio
considerare l’importanza del rapporto d’amicizia semplice
e leale che oggi è la nostra carta vincente.
L’amicizia ha certamente varie forme e modi di essere coltivata,
ma la spontaneità del linguaggio della nostra recuperata
adolescenza la rende straordinaria e tanto rara: si ride per le
gaffes dei professori, si ricorda un volto, un luogo, un personaggio;
si presentano figli, nipotini, fatti, magari armeggiando goffamente
sugli smartphone. Non c’è alcuna costruzione, ma
si può comprendere da uno sguardo se e quando evitare domande.
C’è purezza e nostalgia nell’immaginario del
sé, tanto da far venir fuori un tipo di benessere condiviso,
cosí come in poche righe Enrico sottolineava in un suo
breve commento a una mia battuta: sarebbe l’azione catartica
dello stare insieme, quasi intorno a un falò delle coscienze,
a esprimere emozioni profonde rigeneratrici, già riconosciute
nelle antiche comunità cattoliche.
E allora... che dire del poeta burbero e strepitosamente responsabile
di questo... un grande sognatore il nostro Enrico! Famose erano
le sue sonorità boccali (botte) con l’uso del medio,
a commentare efficacemente alcuni eventi scolastici, con suo successivo
aplomb inglese e aria innocentissima. E poi Maria Grazia dalle
mille eccentriche forme di abbigliamento, dagli short ai maxi
svolazzanti sulla moto del conte Aron..., dalle piume indossate
quella volta senza vergogna per la sera della cena dei cento giorni:
fatta sicuramente da una lega molto speciale, come le sue ottime
torte di adesso. Vera ‘stolker’ di aneddoti, è
riuscita a recuperare, rinsaldandoli, anelli mancanti della nostra
collana.
Ecco, quindi, i nostri aneddoti della vita; brevi spunti su fatti
accaduti e recuperati, anche per la marcia in piú dell’ottimismo
e della carica del grande Maurizio Durantini, con la sua e nostra
Gina, leitmotive della classe nei Red-Sox in action. Dal furgone
in cui ci caricava per le nostre brevi fughe in giro, oggi escono
ed entrano nuove figure artistiche e umane, a perpetuare la saga
di una grande famiglia unita nell’abbraccio di tutti noi.
Ad maiora!
* * *
Caratteristiche
di Franco Trecroci
La vita di classe, dentro e fuori il liceo, è
stata sempre colorata dalla sana e leggera follia di allora, nella
quale ognuno di noi ha avuto una piccola o grande parte. Mi sono
rimaste impresse le caratteristiche che allora avevano i vari
protagonisti di quella vita.
Ricordo, nel primo anno, il professore di religione, piccoletto
e di vista corta, che, in un momento di maggiore esuberanza della
classe (non rara durante la sua ora), mi sospese attribuendomi
un presunto lancio, mai avvenuto, di quaderni o libri.
La professoressa Quintieri, cui per mia fortuna ero simpatico,
faceva alle volte domande strane. A Liano una volta chiese: «Come
vestivano i Greci?» Imbarazzato e a digiuno di nozioni al
riguardo, come tanti di noi, rispose: «Con camice...»
e, allo sguardo ancora interrogativo della professoressa, aggiunse
«... con le maniche a giro collo...» La Quintieri
mise involontariamente in difficoltà Franco Musacchio,
che talvolta balbettava, chiedendogli la capitale del Madagascar:
Tananarive.
Dal secondo anno, il subentrato prof Mazzuca era diverso. Il tono
delle sue lezioni mi sembrava alle volte quasi svogliato. Di meno
quando parlava di Cecco Angiolieri, di Tasso, di Catullo o di
Petrarca. «Fíorèee...!» diceva quando
chiamava la nostra cara Fiorella a riferire.
Mi è rimasta impressa la voce di Mario che si alzava talvolta
improvvisamente in piedi, particolarmente durante le lezioni noiose,
come se esplodesse in un momento di comprensibile insofferenza,
e cantava «... casarella ‘e piscaturi?...».
Oppure quella di Massimo, che invocava: «Scatreamiii...!».
O, ancora, quella di Danilo, che diceva alla professoressa: «...
parlam ’i cose serie...».
Durante una gara di ‘Mathesis’, cui eravamo tutti
impegnati (si fa per dire), spezzammo la monotonia intonando,
e ritmando sui banchi, ancora una volta un vibrante Jesahel.
Credo vibrasse anche l’altra ala del Liceo, perché
venne il preside. Quando uscí, lo salutammo come di consueto,
con l’incitazione «Lupo!... Lupo!...». Rientrò,
e in viso aveva un’espressione che mi sembrava combattuta
tra il rigore e un velato compiacimento. Il preside lo ricordo
arrivare con la sua Alfa Romeo Giulietta dotata di cuscino sul
sedile; in certe occasioni mi sembrava esprimesse, con i suoi
piccoli occhi, una certa complicità con la vita studentesca.
Fu uno di noi, Enrico, che il giorno di rientro a scuola dopo
uno dei tanti ‘filoni’, si fece accompagnare in presidenza
da un cocchiere, presentato come nonno. Il sostituto si impadroní
del ruolo anche con troppo scrupolo, oltre che a modo suo, cosicché
maltrattò fisicamente il ‘nipote’, il quale
fu evidentemente contrariato dallo zelo.
Tra le ‘svisate’ alla chitarra, sul pezzo Samba
Pa Ti, di Massimo e i nuovi teoremi del prof Santelli c’era
pure tanta genialità.
Penso che le tante esperienze di amicizia e di condivisa goliardia
hanno avuto un ruolo formativo importante, almeno pari a quello
della canonica formazione scolastica.