Componente fondamentale della lirica 
              di Abelardo Linares è l’inquietudine di ordine metafisico 
              che crea continue domande e inventa un mondo visionario in cui trova 
              rifugio e conforto il sentimento di solitudine del poeta. 
              Al dubbio e allo stato di emarginazione rispondono la sincerità 
              della parola e la musicalità del verso (in prevalenza l’endecasillabo 
              e l’alessandrino) che annulla con il ritmo composto di classica 
              misura la lacerazione interiore e al contempo alimenta la domanda 
              esistenziale. 
              La peculiarità della scrittura di Linares consiste nel presentare 
              una situazione sentimentale, ben radicata nell’esperienza 
              quotidiana, ma avvolta in un’atmosfera di sogno che la rende 
              lontana ed irreale. In questo incontro con l’ineffabile – 
              ad esempio la bellezza di una donna – ritroviamo gli elementi 
              della problematica sviluppata dall’autore che assume contorni 
              e forme inquietanti, come la presenza del paesaggio notturno aperto 
              verso l’immensità di uno spazio silenzioso oppure chiuso 
              in un oscuro ambiente di interno. 
                
              Come parlare di me stesso?  
              Come parlare di me stesso, come dire 
                la mia verità senza che nulla mi tradisca? 
                Come seguire la voce che da dentro mi parla 
                quando la vita fuori rende sordo il mio udito? 
                Come sfuggire alle grandi parole 
                senza che sfugga tutta la grandezza che è in esse? 
                Come rinunciare a quanto brilla nella bellezza  
                se scrivere volessi con tutti i miei sensi 
                e l’incanto del verbo è lo stesso del corpo? 
                Come cercare in me quel che resta 
                se è l’oblio la chiave del mio giardino perduto? 
                Come evitare che il verso ceda allo stupore 
                senza che così venga meno la sua fiamma misteriosa? 
                Come fare perché tutto quello che in me trema ora, 
                tremi in te che mi leggi e infine nasca la poesia?  
              ¿CÓMO HABLAR DE MÍ MISMO? 
                ¿Cómo hablar de mí mismo, cómo presentar 
                | mi verdad sin que algo me traicione? | ¿Cómo atender 
                la voz que en mi interior me habla | cuando la vida afuera ensordece 
                mi oído? | ¿Cómo huir de las grandes palabras 
                | sin que me huya todo lo grande que hay en ellas? | ¿Cómo 
                renunciar a lo que brilla en la belleza | si quisiera escribir 
                con todos mis sentidos | y el halago del verbo no es distinto 
                al del cuerpo? | ¿Cómo buscar en mí lo permanente 
                | si el olvido es la llave de mi jardín perdido? | ¿Cómo 
                evitar que el verso condescienda al asombro | sin que así 
                desfallezca su misteriosa llama? | ¿Cómo lograr 
                que todo lo que en mí tiembla ahora, | tiemble en ti que 
                me lees y al fin nazca el poema? 
               
             
            Presenza della poesia 
            Nel volto di tutte le ragazze che ho amato, 
              in quella che amo, nelle donne  
              sconosciute che sento forse ancora mi aspettano, 
              ci sei tu, raccolta dietro i loro begli occhi, 
              che spii la mia angoscia, l’ansia di concedermi, 
              che mai si placa e mai si esaurisce 
              poiché gira nel vuoto e il vuoto la genera. 
            Non seppi amare la vita, temere il desiderio, 
              per questo tu mi guardi con i tuoi occhi infiniti 
              uguali alla notte in un cielo senza stelle. 
              Non ci sarà redenzione perché non ho amato abbastanza, 
              né ho voluto davvero rispondere al tuo richiamo, 
              così il mio corpo non è degno di intrecciarsi al tuo. 
            Dentro di me perduto in un bosco di ombre, 
              cerco un’uscita verso la luce che sei tu. 
              Ma non c’è più un’uscita. Solo un vasto 
              muro 
              alto davanti a me e da me costruito. 
              So che dietro c’è il mondo, ma non c’è 
              più un’uscita. 
            PRESENCIA DE LA POESÍA 
              En el rostro de todas las muchachas que amé, | en aquella 
              que amo, en las desconocidas | mujeres que presiento quizás 
              aún me aguardan, | tú estás, agazapada tras 
              sus hermosos ojos, | espiando mi angustia, mi afán por entregarme, 
              | que no se calma nunca y que jamás se agota | pues gira 
              en el vacío y el vacío lo engendra. || No 
              supe amar la vida ni temer mi deseo, | por eso tú me miras 
              con tus ojos innúmeros | iguales a la noche de un cielo sin 
              estrellas. | Y no habrá redención porque no amé 
              bastante | ni quise de verdad responder tu llamada, | indigno así 
              mi cuerpo de entrelazarse al tuyo. || Dentro 
              de mí extraviado en un bosque de sombras, | persigo una salida 
              hacia la luz que eres. | Pero ya no hay salida. Tan sólo 
              un vasto muro | alzado frente a mí y por mí construido. 
              | Tras de él sé que está el mundo, pero ya 
              no hay salida. 
             
            Il bar degli specchi 
            Era un bar e stavamo parlando. 
              Uno strano bar con enormi sedie  
              e minuscoli ventilatori. 
              Attorno a noi volti oscuri  
              o, meglio, uomini senza volto; 
              e così non parve strano il silenzio  
              di quel posto degli specchi infiniti.  
              Non ricordo di cosa parlavamo,  
              ma sì la gioia e la vivacità, 
              di certo esagerata, dei miei gesti. 
              Lui mi lasciava dire, indifferente 
              all’entusiasmo delle mie parole.  
              Di colpo chiese con voce brusca: 
              Ma che farai adesso che sei morto? 
              All’inizio non riuscii a comprendere, 
              tanto ciò era assurdo, privo di senso, 
              così girai la testa. Sugli specchi 
              volli cercare il mio volto, ma era quello di mio padre 
              che vedevo riflesso. Dunque hai capito? 
              Che cosa?, gli chiesi. Che sei un sogno, 
              figlio mio. 
            EL CAFÉ CON ESPEJOS 
              Era un café y estábamos charlando. | Un extraño 
              café de gigantescas sillas | con unos veladores diminutos. 
              | A nuestro alrededor rostros borrosos | o, más exactamente, 
              unos hombres sin rostro; | y así no me extrañó 
              todo el silencio | de aquel local de espejos infinitos. | 
              No puedo recordar de qué charlaba, | pero sí mi alegría 
              y la viveza, | sin duda exagerada, de mis gestos. | Él me 
              dejaba hablar, indiferente | a toda la pasión que había 
              en mis palabras. | De repente me dijo con voz bronca: | ¿Y 
              tú qué harás ahora que estás muerto? 
              | Al principio no supe comprenderle, | tan estúpido aquello, 
              tan falto de sentido, | y volví la cabeza. En los espejos 
              |  
              quise mirar mi rostro, pero era el de mi padre | el que veía 
              en ellos. ¿Al fin te has dado cuenta? | 
              ¿De qué?, le pregunté. De que eres 
              un sueño, | hijo mío.  
             
            Chiamami ieri 
            Omaggio a Pedro Salinas 
            Perché il domani non esiste e tutto è notte, 
              chiamami ieri. 
              Camerieri di tutto punto, 
              agilissimi, 
              percorrono la terra 
              come se fosse una grande, unica sala  
              e arrivano fino a me per dirmi 
              a Bogotá o a Los Angeles 
              che tu sei al telefono, 
              non adesso, 
              ma un mese o un secolo fa, 
              cercandoci indietro, 
              nella profondità  
              di ogni epoca 
              e che mi aspetti 
              in un ieri che è già, 
              così lontano, 
              l’aurora del mondo. 
              Ciò che sento, 
              confusi con la tua voce, 
              non sono interferenze o rumori della linea 
              ma vicini 
              bramiti di dinosauri, 
              che ci rendono così giovani, 
              così giovani, 
              che il nostro futuro 
              è tornare al mare, 
              che ci spuntano pinne sul corpo, 
              con nostalgia di braccia, 
              e che il sapore di sale delle mie labbra 
              non sia quello delle tue lacrime 
              ma quello dell’acqua 
              salata in cui nasceremo. 
              Indietro, indietro 
              fino a fonderci 
              con la prima cellula. 
            E sia questa fine 
              un nuovo inizio 
              per spiegare il mondo. 
             
            LLÁMAME AYER En 
              homenaje a Pedro Salinas || Pues mañana 
              no existe y todo es noche, | llámame ayer. | Camareros de 
              punto en blanco, | agilísimos, | recorren la tierra | como 
              si fuera una gran, única sala | y llegan hasta mí 
              para decirme | en Bogotá o Los Ángeles |  
              que tú estás al teléfono, | no ahora, | sino 
              hace un mes o un siglo, | buscándonos hacia atrás, 
              | hacia lo más adentro | de todas las edades | y que me esperas 
              | en un ayer que es ya, | de tan lejano, | la aurora del mundo. 
              | Lo que escucho, | mezclados con tu voz, | no son interferencias 
              o ruidos de la línea | sino cercanos | bramidos de dinosaurios, 
              | que nos hacen tan jóvenes, | tan jóvenes, | que 
              nuestro futuro | es regresar al mar, | que nos nazcan aletas en 
              el cuerpo, | con nostalgia de brazos, | y que el sabor salino de 
              mis labios | no sea el de tus lágrimas | sino el del agua 
              | salada en la que naceremos. | 
              Hacia atrás, hacia atrás, | hasta fundirnos | en la 
              primera célula. || Y sea ese final | nuevo principio | que 
              dé razón del mundo. 
             |